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You are here: Home > Diritto di Voto / EU, Italy, Turin > Pensiamo all'Internal Investment Attraction, non solo al Foreign Direct Investment

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Published on 2018-08-06 11:49:59 | words: 2240



Questo articolo sarà antipatico più del solito, e non per ragioni personali ma perché temo che una nuova squadra politica si farà ammaliare dalle sirene dello sviluppo economico tramite burocrazie.

E, in questo momento, l'ultima cosa di cui abbiam bisogno è di aziende create per drenare finanziamenti a fondo perduto, non perché il Paese non abbia le risorse necessarie, ma perché sono, come al solito, allocate secondo logiche non di indirizzo politico o, in subordine, redditività potenziale, ma secondo logiche di rinforzo degli argini di dighe esistenti.

Per sgombrare il campo dagli equivoci: io sono a favore della TAV così come, da utente degli ICE tedeschi ad inizio anni Novanta, sentivo le cifre che giravano e come fossero in perdita loro e le controparti TGV prima e, in seguito, Eurostar, ma la logica per me era ed è che le infrastrutture sono una scelta politica di modello di sviluppo.

Che piaccia o meno, l'interconnessione tra le varie reti elettriche in Europa, come pure quella delle reti ferroviarie, quella di Eurocontrol, Schengen, ecc. sono una scelta politica con ricadute economiche.

Talvolta la scelta politica ha immediati "benefici quantificabili" in fase di fattibilità, talvolta è un rischio- come lo furono le strade e gli acquedotti per Roma.

In questi ultimi giorni curiosamente mi son trovato a discutere di vari aspetti che vorrei far convergere in questo breve post.

Vengo prima al tema del titolo.

Sapete cosa è un unicorno? Diciamo una società innovativa che valga almeno un miliardo di dollari.

Ora, guardate questo link su Wikipedia, e cercate la bandiera dell'Italia: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_unicorn_startup_companies (Lista scaricata il 6 agosto 2018).

Toh, nessuna. Eppure non lesiniamo in premi alle start-up, convegni, acceleratori, incubatori, enti vari, non profit, spazi condivisi, strutture di coworking, ecc. ecc.

Personalmente, molti anni fa quando pensavo di tornare in Italia creai un sito chiamato partnershipincubator.com all quale avevo agganciato un metodo ed un sistema per fare come facevo per vender servizi di consulenza e prodotti software ad aziende per conto di altri- qualificare, dedicando in modo crescente più tempo a chi passava a "stadi successivi" della qualificazione.

Visto che lavoravo con il "deferred income"/"deferred equity" mi ritrovai, anche nei casi positivi, con nulla, ma ne valse la pena per studiare il Paese, quasi vent'anni dopo la fine degli anni Ottanta (quando ero in giro per l'Italia a fare o far audit a modelli di supporto decisionale).

Che due neo-reclute sui 25 anni si fingessero start-upper parlando di energia solare un decennio fa, e poi dopo pochi secondi si capiva che non avevan niente di quello che serviva né come mezzi, né come competenze, né come rete di contatti per costituire un team, era la prassi.

Guardate di nuovo l'elenco degli unicorni: e guardate quanti paesi di piccole dimensioni ne hanno più di uno.

E questo è un tema: vero che non abbiamo i Fraunhofer tedeschi, ma cercare di imitarli andando come al solito a far le nozze con i fichi secchi serve solo a dar una boccata di ossigeno a strutture esistenti che aggiungeranno quei fondi come fonte di finanziamento, non a creare nuove strutture dedicate.

Aspettiamo e monitoriamo le evoluzioni- che non siano altri "incubatori" che fan solo real estate o facilities management o da palcoscenici, grazie.

Altro tema: l'ossessione italiana per i tagli degli sprechi dovuti a scelte politiche clientelari.

Avevo raccolto altri casi sul primo elemento, dato che mentre ero a Bruxelles, a seguito di contatti a Roma e Firenze sulla telemedicina, mi ero ritrovato a partecipare ad alcuni workshop sull'e-health.

Di nuovo, noi eravamo latitanti come paese, ma ho avuto modo di discutere con contatti di altri paesi.

E quando in Italia mi parlano di costi standard, tagli, ecc, vedo sempre un vizio di fondo: non pensiamo al ciclo di vita ed ai costi indotti-o, forse, pensiamo troppo alle esternalità negative per lo status quo.

Mi spiego.

Mettiamo che domani arrivi sul mercato un macchinario che sia in grado di automatizzare alcuni processi diagnostici, riducendo del 70% l'utilizzo di materiali di contrasto e di 2/3 il numero di esami (con esposizione a potenziali effetti collaterali negativi sul paziente), ma che il macchinario costi 10 volte quello ordinario (esagero, in realtà diversi casi hanno un incremento inferiore ad un fattore 10).

Se pensate al risparmio istantaneo, difficile che sia acquisito.

Se però pensate che il macchinario diciamo duri x anni, che consenta di triplicare il numero di esami per unità di tempo, riducendo inoltre il consumo del materiale di contrasto e, soprattutto, gli impatti su chi viene sottoposto ad esame, l'impatto sia diretto (costi materiali per x anni complessivi) sia come esternalità positive (il beneficio per i pazienti esposti a minori fattori nocivi, oltre al fatto che in generale sarebbe possibile ridurre la lista di attesa di 2/3) è notevole.

Ora, considerate però le esternalità negative: il 70% di consumi in meno di materiali di contrasto vuol dire n posti di lavoro in meno, la contrazione del tempo per gli esami (1/3) implica necessità di un numero inferiore di posti letto a parità di volume di esami, ecc. ecc.

Ho usato l'esempio del settore sanitario perché, in effetti, è una quota non indiffente del PIL.

Una scelta politica sarebbe una progressiva contrazione del budget su quanto esistente (tipo il metodo Lego del taglio lineare annuale del 10% del budget, se non ricordo male), per far emergere nuovo potenziale invece di rimboccare l'esistente, e per consentire una transizione graduale (diciamo 7 anni per cambiar marcia).

Vorrei far un esempio più personale, risvegliato da una conversazione su Linkedin questa mattina.

Diverse volte, nel passato (anche recente), mi è capitato di sentirmi definire arrogante, presuntuoso, orgoglioso: è solo una questione di logica sottesa alle scelte- accetto la prima definizione, perché, tranne quando sono impegnato in un negoziato o devo risolvere una crisi, l'arroganza dei dati e delle scelte di indirizzo per me è quello che ci distingue da chi segue solo la corrente.

Se volete, posso anche aver la presunzione di pensare che, con il team giusto, qualunque problema sia risolvibile- e ragionando a risorse finite, non a risorse infinite con continui rabbocchi.

Anzi, arriva un momento in cui bisogna far scelte draconiane: l'investimento pregresso non giustifica ulteriori investimenti, se la redditività attesa dopo ri-valutazione non è grado di coprire neanche l'investimento iniziale.

Quanto all'orgoglio: quello di far il meglio possibile, certo, non l'orgoglio di non far brutta figura- anche, meglio ammettere una sconfitta o un errore che perseverare.

Arrivando a casi ridicoli come quando, dovendomi auto-assegnare dei servizi per un dissidio con i miei ufficiali in caserma (avevo proposto un corso ad un contatto ed era arrivato direttamente a livello di Divisione saltando il mio Gruppo), scelsi per arroganza presunzione orgoglio (fate voi) prima di far il "piantone bagni" (e mi dedicai far specchiare i bagni), poi, visto che c'eran troppi puniti perché non si svegliavano all'alba per andare a far i servizi di cucina, piantone notturno al turno in cui tutti di solito dormivano (svegliare i commilitoni che dovevano andare in servizio era un favore, non un obbligo, ed i lavativi sceglievano l'ultimo turno sapendo che nessuno avrebbe verificato alle 5 di mattina se dormivano o facevano il loro dovere).

Ma anche sul lavoro, come ricordato nei giorni scorsi, non mi facevo problemi quasi trent'anni fa a pulire un tavolo lasciato sporco, pur essendo responsabile di uniità, se le segretarie che avevan trasformato la sala riunioni in sala mensa dicevano che non era loro compito pulire dove avevan sporcato, ed avevo un cliente dopo- divertente il pubblico che mi guardava mentre pulivo.

E non sono cambiato, dato che in tempi recenti non ho avuto problemi a far fuori orario attività che eran utili ma mancavano di volontari (non dico cosa per confidenzialità).

Avendo aperto un'attività a marzo per erogare servizi di consulenza in Italia, dopo diverse offerte di lavorare gratis o progetti saltati all'ultimo minuto, per me è normale considerare che l'elemento principale è la condivisione della conoscenza, e trasferirla verso tale ruolo, e non ci penso nemmeno (anche se potrebbe esser possibile) a trasformarla nell'ennesimo assorbitore di finanziamenti a fondo perduto per attività che non saranno remunerative.

Meglio riposizionarsi su altre attività o direttamente sull'estero, che prender fondi pubblici per sovvenzionare l'erogazione di consulenza gratuita a terzi ben inseriti, per costruirmi uno strapuntino più o meno visibile.

Come avete capito, questa digressione personale è per riprender il tema iniziale: a risorse scarse, il problema è di allocazione secondo una mia definizione di efficacia (risultati) ed efficienza (minimizzare ma non sotto la soglia di utilità, altrimenti è solo un creare uno strapuntino per qualcuno a spese dei fondi pubblici).

Decenni fa, ho visto troppe aziende trasformarsi in centri di formazione per drenare fondi disponibili, erogando corsi che non avevano realmente impatto sull'occupazione di chi li riceveva (anzi, abbassavano sia la percezione della qualità delle risorse sul mercato, sia ovviamente le tariffe).

In Italia vedo ancora poca creazione di quelli che potrei chiamare "incubatori d'impresa", diretti sia all'interno sia all'esterno: se una start-up ha un prodotto/servizio innovativo, spesso non è in grado di portarlo sul mercato, soprattutto se poi deve rispettare una selva di normative ecc.

Invece, una struttura esistente potrebbe coprire tutta una serie di aspetti "strutturali", fornendo anche attrezzature tecniche come allocazione del tempo di non utilizzo (di aziende che lavorano sotto il pieno utilizzo non ne mancano).

Se le aziende italiane stesse non vedono opportunità su cui investire in Italia per il futuro, difficile che poi l'ennesima campagna di attrazione di investimenti diretti esteri non si trasformi nel solito "sembrava un amore ed invece era un calesse", ovvero arrivano, restano finché ci son fondi o hanno estratto le risorse (anche umane) necessarie, e poi ripartono.

Mi ero occupato di questi temi prima del mio primo mini-progetto in Sviluppo Italia nel 2004 come PM/BA per una società Reply, per progettare una banca dati/CRM per l'attrazione investimenti (ad esser precisi, da inizio anni Ottanta, quando vedevo i documenti che arrivavano da Bruxelles per attività politica).

E quando vidi negli anni successivi, comparando con le mie esperienze e contatti in UK e Belgio+Olanda, oltre a quanto visto dal 2012, alla mia ri-registrazione in Italia, non fa che confermare quanto sopra.

Indipendentemente dalle mie scelte personali, continuo a pensare ad un paio di cose che avrebbe senso affrontare.

Non mi stanco di ripetere che le nostre "eccellenze" nel settore educativo e ricerca hanno una vita potenziale ancora di 10-15 anni senza rinnovamento ed investimenti: guardate la "retention" di studenti stranieri in Italia, e quanti docenti stranieri trovino attraenti il nostro paese, prima di considerare i numeri "drogati" dai fondi di supporto erogati da vari Enti e Fondazioni.

Quindi, vi è ancora abbastanza tempo per creare un volano che consenta di avere una prossima generazione di "eccellenze".

Altrimenti, come ho discusso più volte in passato ed ancora oggi, la prospettiva è quella sotto gli occhi di tutti: chi può, sposta le risorse fuori, ove sono più remunerative; chi non può ma ha contatti, cerca di crearsi uno strapuntino che dia visibilità e credibilità entro un decennio, quando quella visibilità dovrà gioco forza esser spesa o all'estero, o in Italia con gli acquirenti esteri di competenze e know-how italiani.

E gli altri? Come mi dissero più di un decennio fa, non ce ne sarà per tutti. Ma non accetto questo disfattismo- modello diverso sì, "si salvi chi può", no.

Su questo sto con Carl Schmitt (cfr. la recensione), quando scrisse che in realtà in futuro le imprese avranno un ruolo politico.

Solo che... il futuro è oggi- e non sono l'unico a pensarlo.

Il problema è solo render strutturale tale ruolo, senza scadere nella camera delle corporazioni del periodo fascista, ma senza voli pindarici.

In fondo, è come il discorso di Ford: se non creiamo opportunità sul territorio che siano in grado di sostenere l'infrastruttura sociale ed umana (p.es. università, circoli vari, cultura), prima che fisica, del Paese, difficilmente eviteremo che il nostro territorio diventi solo un luogo o di turismo di transito, o di esecuzione di decisioni prese altrove.

Personalmente (lo so, mi ripeto), credo più in un'Europa delle regioni che una basata su confini definiti in epoche passate con logiche diverse- ma comunque la dicotomia imprese-politica non ha senso nel XXI secolo.

Sono già oltre duemila parole, quindi meglio chiudere (rileggo dopo, se avete commenti o chiarimenti, contattatemi via Linkedin).