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You are here: Home > Strumenti > Strumenti05 Comunicazione come atto negoziale - parte seconda

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Published on 2014-10-31 | Updated on 2019-12-07 17:34:22 | words: 7245



Dal 2014-12-01, è disponibile sia su Slideshare (versione gratuita in sola lettura) sia su Amazon (a pagamento) il primo libro della serie #DirittoDiVoto, dal titolo "Strumenti per la comunicazione e promozione di idee - #DirittoDiVoto - 01"

Originariamente pubblicato in italiano ed inglese (questo capitolo ed il precedente furono pubblicati solo in italiano, tranne che per un breve riassunto in inglese, attualmente offline)


5.1. Introduzione

Come indicato nel primo capitolo, ho recentemente ridotto i canali online che utilizzo, definendo meglio il target di ciascun canale.

I canali principali sono tre:

Twitter
come canale annunci e di condivisione continua per tutti gli altri canali; quale incentivo ai "follower", pubblico ogni giorno lavorativo una serie di link a notizie in varie lingue, con brevi commenti riassuntivi in inglese

Facebook
per condividere notizie, link, commenti di tipo più "personale" (come interessi e come comunicazione)

Linkedin
utilizzato come Facebook, ma con un target business

Ovviamente, a parte i brevi commenti, vi sono articoli, e serie di articoli, su argomenti specifici, ma per ragioni tecniche e storiche (è dove ho il "villaggio virtuale" più ampio), gli articoli di tipo personale sono pubblicati altrove e "rilanciati" su Facebook, mentre quelli inerenti le attività professionali sono su Linkedin.

Dato che l'obiettivo dichiarato delle mie attività online è quello di servire come "bozze" per ulteriori pubblicazioni e future attività professionali, ogni "post" viene poi pubblicato sul mio blog1 / "deposito centrale".

Sarebbe poco pratico ripubblicare ogni link ad ogni notizia separatamente, e quindi da inizio 2014 pubblico un "digest" degli articoli (attualmente, degli articoli e commenti ad articoli, pubblicato il giorno dopo), digest che inserisco poi nel mio blog.

Tralascio altri canali "tematici" (p.es. in passato ho usato http://nlschap.wordpress.com per condividere il mio percorso di apprendimento dell'olandese e sperimentare la pubblicazione periodica, mentre ora, con la scusa di condividere lo stesso percorso ma sul cinese, condivido ogni settimana da alcuni mesi articoli e recensioni su materiale o di interesse linguistico, o di interesse sociale e culturale, su http://wodeshudian.wordpress.com).

Val la pena di ripetere che non solo il fine non giustifica i mezzi, ma utilizzare tutti i mezzi solo perché sono disponibili non è una scelta saggia.

Presuppongo che abbiate risorse limitate, e quindi, anche se la tentazione, soprattutto per chi si occupa di politica, è di essere come i "pupazzi a molla" (aver la vostra da dire su qualunque argomento ovunque se ne parli), utilizzare ogni canale in modo sporadico è un modo per confondere chi vuole seguirvi.

Un piccolo dettaglio tecnico: il modo caotico ed incontrollabile con cui i vari social network evolvono ha tra le sue conseguenze anche che non basta pubblicare qualcosa p.es. sulla vostra pagina Facebook, per far sì che tale aggiornamento raggiunga la vostra audience.

Restando al caso di Facebook, il canale si comporta ormai come un vostro interlocutore a cui affidiate un messaggio da diffondere tra il proprio seguito: è interessato non solo a fare da "Caronte", ma anche ad utilizzare l'occasione per valorizzare il proprio ruolo.

In termini più espliciti: mentre in passato i vostri "follower" vedevano tutto quello che pubblicavate, oggi l'ordine in cui ricevono gli aggiornamenti, o se li ricevono, dipende anche da come di solito utilizzano Facebook, e probabilmente anche da vincoli di tipo commerciale (ovvero: aumentare l'esposizione ad annunci pagati ma che soddisfano il visitatore).

E' un problema che è stato già segnalato da più parti: i social network stanno progressivamente assumendo i "vizi" dei canali di comunicazione più tradizionali, p.es. "scegliendo in base a quanto avete già scelto", e di conseguenza creando una "visione a tunnel".

Sempre più di frequente, e non solo su Facebook, dovrete considerare che qualunque vostra occasione di comunicazione, sui social network come anche durante eventi in piazza, deve essere considerata una "apertura temporanea di disponibilità"- da sfruttare immediatamente.

Cum grano salis: se voi immediatamente fate come un tempo faceva il Partito Radicale durante le raccolte di firme (volevi firmare un referendum e cercavan di farti firmare quelli che non ti interessavano spostando le pagine, e, per buona misura, ti bombardavano di posta), il rischio è il rigetto.

Purtroppo, utilizzare l'approccio graduale (aspettare al prossimo contatto) o funzionale (limitarvi allo stretto oggetto della transazione/comunicazione in corso) vi impedirebbe di tornare ad avere contatto con chi in realtà potrebbe essere interessato, o addirittura potrebbe pensare che aver dato il "like" su Facebook alla vostra pagina sia quanto è necessario per restare in contatto (come era in origine).

Meglio quindi considerare l'utilizzo di un qualcosa in più, per esempio non perdendo l'occasione di invitare a registrarsi sul vostro sito o nella "mailing list" (il vostro elenco indirizzi).

Ulteriore dettaglio tecnico: rendete la vita facile a chi vuole restare in contatto con voi.

Personalmente, trovo abbastanza stupido che uno stesso interlocutore mi chieda di inserire più volte le stesse informazioni, o addirittura di avere una password per ogni canale di comunicazione.

La regola base dovrebbe essere: per ogni contatto che stabilite, tenete traccia dei canali preferiti, e fate in modo che, per esempio, sia possibile utilizzare qualunque canale di comunicazione con voi utilizzando soltanto una password (p.es. il "login via Facebook" che forse avrete già visto).


5.2. Canali e comunicazione

Considerando che i canali di comunicazione oggi non sono più mediati, il rischio di prender cantonate, o non seguire la discussione e rettificare in tempo, e poi vederselo rinfacciare per anni è troppo elevato per ignorarlo.

Per chi si occupa di una "causa" ("advocacy") è relativamente più semplice, anche se il rischio di cercar di vedere in qualunque evento un qualcosa di riconducibile alla vostra causa non è meno imbarazzante che per il "politico presenzialista".

Come indicato nel primo capitolo, si tratta di trovare un compromesso per voi accettabile tra preparare (o far preparare) una serie di "dossier" sugli argomenti più vari ma letti dal vostro punto di vista (per evitare di esser incoerenti), ed andare in un luogo pubblico in cui siete stati invitati a parlare/comunicare (anche un evento online) e fare... scena muta.

Dire "non è di mia competenza", come ho sentito talvolta in dibattiti televisivi, può andar bene per un analista o responsabile di una linea specifica di attività, ma se siete invitati a partecipare ad un evento in rappresentanza della vostra parte politica, associazione, o altro gruppo, ci si aspetta che, sull'argomento dell'evento o altri di cui era prevista o prevedibile la discussione (gli "argomenti caldi"), abbiate da dire qualcosa- anche soltanto citando chi nel vostro gruppo si occupa di tale argomento.

Vorrei fare nelle prossime due pagine una breve digressione sul tema dei "canali", passando a considerar le persone, non gli strumenti.

Nel gestire i canali, soprattutto se utilizzate (come auspico) sia quelli online sia l'incontro fisico con la vostra audience, ricordatevi che non basta "create il contatto"- va poi gestito, rinforzando il senso di appartenenza, sia per aumentarne l'intensità (evitando il rigetto da sovra-comunicazione, come accennato in precedenza), sia anche solo per confermare il livello di "cooperazione/cooptazione/coinvolgimento intellettuale" raggiunto.

Senza voler riesumare concetti che dovrebbero ormai esser considerati superati (tipo "intellettuale organico"), concetti legati alla politica diretta dall'alto e con accesso filtrato e mediato ai mezzi di comunicazione ed informazione, resta valido che ogni vostro contatto dovrebbe in realtà esser considerato non solo come un canale, ma come un canale dotato di diversi gradi di libertà nella comunicazione, ovvero vincoli nell'effettuarla. In questi ultimi anni, ci siamo abituati a confondere fini e mezzi, ed a pensare che, nell'era di Internet e dei social network, il passato non sia in grado di fornirci lezioni utili: ridicolo errore di prospettiva.

Una associazione pre-Internet che ha una sua gerarchia dei "cerchi di coinvolgimento" è Greenpeace, dato che per sua natura l'efficacia dell'azione politica che esplicita è fortemente legata alla qualità dell'analisi su cui basa le proprie scelte operative.

Tralasciando gli aspetti etici delle sue fonti (io sono tra quelli che trovano aberrante il metodo "Lista Falciani" per stanare gli evasori fiscali: si incentiva la corruzione come strumento legale), comunque in qualunque attività politica (o, come dice il titolo di questo libro, di "comunicazione e promozione di idee") è indispensabile aver accesso a chi, su specifici temi, è costantemente in grado di fornire informazioni o valutazioni aggiornate.

Potete leggere gratuitamente online su Slideshare.net un libro (in inglese) in cui ho discusso il tema della gestione degli esperti1, oppure un precedente libro sulla gestione del cambiamento organizzativo basato sulla conoscenza2, ma vorrei riassumere qui alcuni concetti.

Nelle attività politiche tradizionali, spesso alcuni membri del "cerchio più interno" (più "girone dei dannati che corrono per rispondere all'urgenza del momento" che "cerchio magico") sviluppano una competenza tematica- presunta più che reale.

La logica di base è: se io sono esperto di A ma mi dedico a collaborare a tempo pieno con B per contribuire la mia esperienza/competenza su A, quanto tempo ci vuole perché la mia iniziale competenza in A diventi obsoleta, ed io diventi una barriera al cambiamento per ciò che concerne A?

E' naturale che chi viene "cooptato" come esperto/a su qualcosa si senta anche "guardiano" di quell'ambito di competenza: e questo è un fenomeno ben studiato nella gestione dell'innovazione e degli investimenti nel settore privato, meno nel settore pubblico.

Purtroppo negli ultimi decenni in Italia la retorica della critica alla "vecchia" politica fatta di professionisti dedicati a tempo pieno alla politica, e che non han svolto alcuna attività nella società civile ha prodotto una serie di "prestiti dalla società civile alla politica" che costituisce invece spesso una vera "armata Brancaleone" di egocentrismi basati su supposta competenza, e notevole arrogante incompetenza per quanto concerne la complessità della macchina pubblica.

E' trasversale rispetto a tutti gli schieramenti politici, e quindi è inutile fare nomi.

Vorrei solo far notare che, come contrappasso degli ultimi decenni post-"Mani Pulite", il Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi vanta una lunga carriera politica e nell'amministrazione pubblica: avrà pure ereditato (ma non è il solo) la forma di comunicazione politica introdotta dal suo predecessore di Arcore, ma è tutto fuorché "nuovo alla politica".

I cassetti (e le pagine dei numeri degli ultimi venti anni della Gazzetta Ufficiale) sono pieni di "innovazioni amministrative" che hanno solo aumentato la complessità dell'interazione tra lo Stato ed i cittadini (privati ed imprese), spesso trasferendo a questi ultimi attività operative di competenza pubblica, ma incrementando al tempo stesso i costi imputati ai cittadini (penso ai contorcimenti mentali relativi alla tassazione locale).

Nel settore privato, di solito, si portano a fattor comune processi condivisi o condivisibili per abbattere i costi unitari tramite economie di scala (dalla formazione ai servizi generali); in Italia, l'adozione di queste logiche privatistiche ha moltiplicato i centri decisionali, incrementato il numero di società che sono private (quando ci sono profitti o assunzioni sponsorizzate) e pubbliche (quando ci sono costi), e generalmente intensificato la quantità e complessità degli adempimenti amministrativi.

Restano i problemi di fondo della "guru-crazia", ovvero la tendenza, a destra come a sinistra, di circondarsi di "cerchi magici", gruppi ristretti che rappresentano un filtro rispetto alla realtà.

Unite a questo che nella "guru-crazia" l'immagine è il tallone d'Achille del leader, e che chi resiste al cambiamento fa leva su questo per deragliare qualunque riforma, generando reazioni che in altri casi sarebbero definite paranoiche.

Intendiamoci: come diceva un collega americano, se negli Stati Uniti lui avesse fatto soltanto il 10% della dietrologia indispensabile per lavorare a livello di consulenza di direzione in Italia (vale anche per la politica), sarebbe stato rinchiuso in manicomio come paranoico; a non farlo in Italia, secondo lui (ma condivido), sarebbe stato considerato ingenuo (o peggio).

Concludeva dicendo: ma anche i paranoici hanno i loro nemici.

Personalmente, sono tra quelli che ritengono che sia il Ministro Fornero (sul calcolo degli esodati) sia il Ministro Gelmini (sul tunnel per i neutrini tra CERN e Gran Sasso) siano state forse arroganti, ma certamente non supportate come ci si aspetterebbe da parte di "civil servant" dalle rispettive burocrazie ministeriali (i dati parziali, falsi, o anche soltanto decontestualizzati, sono spesso le "polpette avvelenate" con cui si rimuove un dirigente che non sia ben accetto ai membri di una struttura).

Almeno, gli eunuchi nell'impero Ottomano ed altrove non potevano aver figli da dover piazzare, mentre chi lavora nel settore pubblico in Italia spesso ha tendenze dinastiche (indirette nei livelli più alti, grazie al potere negoziale di cui si dispone, che rende possibile altri accessi preferenziali).

Come accennato nel terzo capitolo, in Italia abbiamo la cattiva abitudine di "creare infrastrutture" (fisiche o concettuali): dalle strade ai "pensatoi accademici".

Non è inusuale che strutture dedicate o temporanee vengano "riciclate", p.es. come avvenne con l'Ufficio Italiano Cambi.

Peccato che poi troppo spesso ci si dimentichi che una infrastruttura è come una pianta: va curata, o si sfalda; sì, il mio momento "Oltre il giardino"- film con Peter Sellers che diversi politici potrebbero utilmente riguardarsi, magari insieme a "Wag the dog", sul come creare un messaggio- ed ovviamente anche "Thank you for smoking", su come gestire la comunicazione durante una crisi.

Ovviamente, questa lunga introduzione per costruire un percorso attraverso i capitoli precedenti, preparando a considerare alcune criticità legate non ad uno specifico canale, ma al concetto stesso di canale.

Riassumendo le prime sette pagine di questo capitolo: ogni canale ha una sua logica e sue motivazioni, che non necessariamente sono quelle che vi aspettereste- o quelle dichiarate.

Diffidate degli esperti specializzati su uno specifico canale: se l'unico strumento di cui disponi è un martello, cerchi di ricondurre ogni problema a quello che sai risolvere con il tuo strumento- ed ho visto tirare martellate a dadi e bulloni...

Elemento più interessante da considerare è quello che potrei pomposamente chiamare "dinamiche sociali specifiche di canale".

Esempio: se siete abituati ad utilizzare il canale "club politico" per comunicare con la vostra audience... parlate ai convertiti: fenomeno ineludibile in passato, oggi residuale ma immarcescibile cavallo di Troia di chi è nato e cresciuto nelle burocrazie di partito e sindacali, e non riesce a concepire forme organizzative più flessibili.

Di conseguenza, chi partecipa sarà già stato in gran parte filtrato all'ingresso (anche perché, se qualcuno venisse a presentare opinioni diverse, rischierebbe il linciaggio come "provocatore"): chi canta fuori dal coro non è benvenuto in questo tipo di eventi.

In una piazza (fisica), un po' di dissenso spesso è previsto, e talvolta gestito: e vedo tornare, almeno nelle manifestazioni sindacali, laddove è più semplice capire chi indice l'evento, la "concertazione" tra il "filtro esterno" (le forze dell'ordine) ed il "filtro interno" (servizio d'ordine).

Se avete la mia età (nato nel 1965), sapete di cosa parlo, altrimenti: in Italia era una volta la prassi avere un "servizio d'ordine" durante le manifestazioni, complementare alle forze dell'ordine, e diretto a far rispettare gli accordi presi, p.es. sul percorso da seguire, per evitare interventi delle stesse (cariche, lacrimogeni, ecc), come pure per gestire il rischio che disordini nelle piazze porgessero il destro a limitazioni delle libertà civili (sembra una barzelletta, ma è un riflesso che è ancora quasi riflesso condizionato in buona parte dell'ex sinistra- esclusi, ovviamente, gli "antagonisti": oggi Black Bloc e centri sociali, ieri Autonomia Operaia&Co).

Nelle molte piazze virtuali che sono disponibili online, la pratica impossibilità di sapere chi è che avete di fronte porta talvolta a situazioni caotiche, in cui la tentazione di ribattere ad ogni critica serve solo per "dar fuoco alle polveri", ovvero scatenare tempeste ancor più rabbiose.

Ho discusso il concetto a livello generico nel capitolo introduttivo, ma val la pena soffermarsi qui su alcuni concetti più "tecnici".


5.3. I troll di canale e la canalizzazione dei troll

Ci sono ovviamente "agenti provocatori professionisti", i "troll" di cui leggete ogni tanto online.

In alcuni paesi, fare il troll sta diventando un reato, anche se lo scopo del troll è quello che in Italia è comune ma, di nuovo, è vietato in altri: "incastrare" creando situazioni per poi segnalarle ("entrapment").

Ma non crediate che siano solo i troll a partecipare: loro sono catalizzatori, e, grazie al fatto che non è presente contatto fisico, tendenzialmente le battaglie verbali su Internet sono ad un livello di aggressività che non sarebbe tollerato in qualunque altro luogo di discussione in cui si dialoghi su proposte politiche o idee.

A dire il vero, riandando al mio passato politico, mi ricordo che per molto meno si andava direttamente alle vie di fatto (mai alzato le mani, ma quando attaccavo manifesti per Democrazia Proletaria durante le politiche del 1983 mi ritrovai a cenni non proprio democratici di "ostacolo fisico all'attività politica" sia da parte dei "compagni" del PCI, che da parte "dei camerati" dell'MSI- gli stessi che oggi sono in giacca e cravatta).

Di fatto, i troll agiscono come delle condotte che canalizzano il dissenso, dissenso che loro stessi hanno fomentato o addirittura creato, per esempio citando quanto avete detto in modo distorto o fuori dal contesto, o semplicemente inventando.

Non so se avete mai visto dei filmati sulla "risonanza", p.es. quello in cui si vede un ponte che inizia ad oscillare, ed ogni oscillazione aggiuntiva intensifica l'effetto accumulato da quelle precedenti, potenzialmente sino alla rottura (famoso il caso del ponte di Tacoma).

Ho avuto un piccolo esempio del fenomeno alla prima inaugurazione del "Millennium Bridge" a Londra, quando era privo dell'ingabbiatura che venne poi aggiunta in seguito per controllare il fenomeno.

I troll ed assortiti provocatori istituzionali o meno di fatto agiscono nello stesso modo, usando metodi vecchi di millenni.

Peccato che, online, il ciclo sia estremamente rapido, e se cadete nella trappola, il rischio principale è che, qualunque scelta operiate, la vostra reputazione ne esca danneggiata (anche se cancellate in seguito i "post" ed i commenti incriminati).

Ogni canale ha un suo sottobosco di troll, ed in effetti i frequentatori abituali riconoscono oppure ostracizzano i troll.

E quando dico "frequentatori abituali", forse è meglio che specifichi il "quanto".

Praticamente ovunque non si paga più il costo necessario per comunicare su Facebook o Twitter, mentre una volta era previsto di fatto un costo a messaggio, come se si trattasse di SMS.

Il costo zero delle connessioni, unito all'incremento dei punti di connessione sempre attivi (smartphone) implica che molti in realtà siano sempre connessi ai social network preferiti, anche se non lo sanno.

In pratica, il "ping" continuo delle segnalazioni in arrivo diventa parte della "colonna sonora" di una giornata tipo, tanto che spesso gli stessi "naviganti" non si rendon conto di quanto la loro giornata sia in pratica una connessione continua, da quando si alzano a quando vanno a dormire.

Il nostro cervello dall'età della pietra ha "premiato" l'abilità di isolare le possibili fonti di pericolo- prima per attenzione esplicita, poi per similitudine, assorbendo come parte dello sfondo gli stimoli che non rappresentavano alcun pericolo.

Lo stesso avviene anche online, come vidi molti anni fa sui "progenitori" dei social network, le BBS ed i gruppi di discussione.

Con gli smartphone, aumenta la frequenza con cui gli stimoli sono ricevuti, ma non sempre ci si adegua abbastanza velocemente: in alcuni casi, ricordo che già con il vecchio MSN Messenger avevo avuto collaboratori così abituati a ricevere il "ping" ogni pochi secondi, che... controllavano anche quando non arrivava niente.

Ma anche sui moderni social networks, come pure nelle vecchie BBS, si creano "stratificazioni", ovvero differenziazioni nei ruoli, spesso più di fatto che formali (p.es. alcuni agiscono come "troll istituzionali", quelli che lancian le polemiche, mentre altri sono quelli che chiudono e riassumono una discussione).


5.4. Considerare i troll come rumore di fondo

Anche in gruppi chiusi (simili ai "club politici" di cui parlavo prima) qualcuno dei membri condivide stimoli provenienti dall'esterno del gruppo, di fatto talvolta diventando un "cavallo di Troia" per i troll professionisti.

Ho visto diversi gruppi "scomodi" o in competizione con altri su Facebook venire distrutti da polemiche veicolate da membri, ma di chiara provenienza e strutturazione a tavolino dall'esterno (si riconosce dal "crescendo" che cerca di generare una "risonanza").

Potrei risparmiarmi le prossime 500 parole che avevo preparato per questa sezione: il titolo chiarisce già quella che potrebbe esser una strategia difensiva tipica.

Con una distinzione: può andar bene in una piazza fisica o in una intervista pubblicata da un quotidiano, ma su Internet un politico che semplicemente ignora i troll alimenta una caratteristica innata nel pettegolezzo in ogni paese, ma diffusissima in Italia: i teorici delle cospirazioni.

Anche diversi giornalisti agiscono spesso come troll contro quelli di cui non condividono le posizioni politiche: basta guardare su YouTube video la stizza, che giunge quasi alla provocazione, con cui famosi giornalisti intervistano politici del Partito Democratico ex-DC.

Se, come attività commerciale, posso talvolta utilizzare tale approccio di gestione del rischio (ignorarlo), come politico di solito "ignorare" va tradotto in "convertire", visto che i troll spesso puntano a scatenare una reazione, confermare una loro teoria, e seminare il dubbio.

"Convertire" non significa andare sul terreno che ha creato il troll, in cui sicuramente ha piazzato altre "trappole retoriche" (una "corsa agli armamenti") che possono esser riutilizzate in qualche altra invettiva, ma usare il suo materiale per spostare il territorio di discussione, avviare una discussione più vicina ai vostri obiettivi, e quindi, solo a questo punto, ignorare.

Obiettivo? Rinforzare la scelta di chi vi appoggia, scoraggiare altri troll (ricordate il "teflon Reagan", su cui niente si attaccava?), e, possibilmente, ampliare la vostra audience, o almeno chi passa da ostile a dubitativo.

Su Internet è più facile raccogliere e riciclare il dissenso che tenta di strumentalizzare la discussione, usandolo per una versione aggiornata del "molti nemici, molto onore": se tanti vi attaccano, vuol dire che state dando fastidio, vuol dire che state facendo qualcosa che smuove equilibri, ecc.

E' una variante rovesciata delle teorie cospirative dei troll, talvolta diretta a "sminare" polemiche che hanno un fondamento, ma è ormai uno strumento di utilizzo corrente.

La logica di base è: se "mini" la credibilità dell'interlocutore, tendenzialmente il pubblico tenderà a "filtrare" come poco credibile qualunque cosa dica (brillante la scena dell'interrogatorio dell'ex-membro di una cellula del Partito Comunista americano in "Advise and Consent").

Un solo punto di attenzione: il "come" implementare questo approccio va tarato canale per canale, e forse qui conviene che io condivida alcuni principi che ho spesso utilizzato in negoziati in attività lavorative, laddove si fosse reso necessario "evangelizzare" il mercato (introdurre qualcosa di diverso da quanto non fosse già abitualmente utilizzato dai clienti, o addirittura creare un nuovo mercato, come accennato in precedenza).

Vivendo in Italia, potrei consigliare di andarsi a dare una rilettura ad alcuni vecchi libri di Fabris sul consumatore, o quantomeno dare uno sguardo alle più recenti statistiche e ricerche sul comportamento dei consumatori (potete trovare alcuni esempi andando online sul mio profilo LibraryThing http://www.librarything.com/catalog/aleph123).

Più banalmente, usate il cervello: di solito, è questione di buon senso, non di dotte analisi su miliardi di dati o centinaia di libri.

Anzi: usate "i cervelli", trovando qualcuno per ogni canale che abbia sviluppato dei "riflessi condizionati" su come quel canale vada utilizzato (e su come non vada utilizzato).

Non è necessariamente qualcuno abituato a spendere molto tempo p.es. su Facebook (anche se aiuta), ma piuttosto qualcuno che sia in grado di dimostrare di aver stimolato continuamente comunicazione positiva.


5.5. Un modesto contributo teorico

I generatori di "like"/"mi piace" non servono molto, visto che, come dimostrato in più casi, sia politici che artisti han collezionato moltissimi like... ma poi questi non si sono trasformati in voti (per i primi) o acquisti di CD (per i secondi).

Questo capitolo è già piuttosto lungo, e quindi vorrei partire dalla fine, da un esempio grafico, per poi ritornare alla teoria.



Non si tratta di scelte economiche con risorse limitate, come avviene per le aziende, ma in ogni caso ogni volta che viene inviato un messaggio su un canale e qualcuno, che ha credibilità sullo stesso, vi aiuta a veicolare il messaggio, "spende" una quota della propria credibilità, e ciò può influire sul livello di coinvolgimento del vostro "referente di canale".

A differenza di quanto potreste pensare, se volete convincere il "cosa" (l'audience) sul vostro "come" (le soluzioni che proponete, o l'analisi dei problemi), avete bisogno di credibilità pregressa, che vi viene "prestata" da chi è già presente sullo specifico canale.

Ho usato il termine "garante", che in parte è riconducibile a "chi ci mette la faccia" (il "Mianzi" cinese), ma in realtà è un qualcosa di più, visto che chi si presta ad aiutarvi potrebbe avere delle logiche di comunicazione che voi non condividete, sono indicate su quel canale, ma... non è in grado di spiegarvele.

Quando si passa dalla teoria alla pratica, si scopre presto che chi fa qualcosa, non necessariamente è in grado di spiegare come lo faccia.

D'altro canto, siete forse voi in grado di spiegare come camminate?

Ogni passo è composto da una miriade di micro-decisioni, decisioni che magari erano esplicite quando avete iniziato a camminare, ma che ora sono riassunte in poche "prassi" del camminare (p.es. non lasciate la gamba piegata a mezz'aria).

Se scegliete qualcuno perché ritenete che sia in grado di ricoprire un ruolo specifico relativo ad un canale, riconoscete questa distanza a livello di competenza ("gap") tra voi ed il vostro interlocutore- o, quantomeno, che il vostro interlocutore dispone del tempo e delle capacità per ricoprire quel ruolo, ruolo che voi ritenete non indispensabile ricoprire in prima persona.

In generale, siete voi a dover convincere questo "garante", anche se all'inizio la conversazione è aperta dal garante stesso (o, più frequentemente, da qualcuno nel vostro entourage che lo sponsorizza).

In ogni attività in cui dovete convincere a "comprare" il vostro punto di vista, raccogliere volenterosi sul territorio (fisico o virtuale, online) non basta: dovete anche poter verificare se siete voi a guadagnarci, o sono loro a cercar di far aumentare il proprio capitale di credibilità, potendo presentare molte opzioni, ed accreditandosi come "garante".

Mi successe anni fa a Bruxelles, allorché decisi di creare una pagina Facebook per un pub in cui andavo spesso, e ne parlai con la "compagnia della pinta" multinazionale di cui facevo parte.

Improvvisamente, diversi di loro si offrirono di essere uno degli amministratori, ma ponendo come condizione che... assegnassi loro ruoli con titoli specifici nell'ambito del marketing, della gestione, ed in generale della comunicazione: serviva per futuri usi dei loro CV, e riempire "buchi"...

Quando leggete sul CV di un volontario "Community Manager" o simili, chiedete di descrivere cosa hanno fatto: se è comune una certa "inflazione" (p.es. chi stampa le lettere e le imbusta diventa "direct marketing coordinator"), quando si tratta di marketing e comunicazione online la fantasia non ha limiti.

5.5.1 Cui prodest (a chi giova)?

Nelle attività commerciali sono sempre stato scettico di chi si offre di fare il "venditore professionista" per più società: quando vanno dai possibili clienti, raggiungono l'obiettivo anche se non vi procurano alcun fatturato, addirittura anche se (temporaneamente) non lo procurano a nessuna delle società che rappresentano.

Il loro valore è quello di intermediario accreditato, in grado di esser il primo a cui pensano i potenziali clienti quando hanno bisogno di qualcosa ma non sanno a chi rivolgersi.

Personalmente, se qualcuno mi offriva di darmi una commissione se in cambio presentavo il loro "business case" a tutti i miei contatti... declinavo gentilmente l'invito.

Che sia per affari o per politica, la comunicazione su una "causa"implica l'assunzione di un rischio che insiste sulle relazioni di cui già disponete.

Nel caso della comunicazione politica, se chi ha credibilità su un canale o presso una comunità organizza eventi-incontro o trasmette i vostri messaggi, si assorbe il rischio di esser ricordato come quello che presentato la "fonte del bidone".

Il modo più semplice per verificare se il "referente di canale" che vi viene suggerito sia davvero interessato al vostro messaggio è verificare se cerchi di sapere di più su quanto deve comunicare.

Se mi viene chiesto di metter in contatto A con B, perché ha qualcosa da proporre, chiedo prima di sapere cosa, e, se non conosco A, verifico chi è.

Se non sono convinto io, non rischio di perder credibilità presentando a B una "bufala" (a Roma, "sola").

In passato, anche nuove formazioni politiche (da Forza Italia a Di Pietro e M5S) han avuto "referenti di canale" che crearono club politici locali.

Non tanto e non solo per veicolare il messaggio, o presidiare il canale/territorio per chi dicevano di rappresentare, quanto per accreditarsi come "politici" sul territorio stesso, ed acquisire visibilità che prima non avevano.

5.5.2 Pre-emptive thinking?

Pensare prima di agire? No, non solo- pensare prima di pensare!

Spesso, da come vedo utilizzare negli ultimi anni i canali online e la presenza sui social network, i politici italiani sembran ragionare per canale, ovvero confondere la tattica con la strategia.

Farà anche tendenza usare Twitter, Facebook, YouTube, ma se non avete idea di perché li utilizzate (che faccia tendenza non è nè condizione sufficiente nè necessaria), meglio starne fuori: ci sono già troppi siti di politici italiani che sembran cimiteri degli elefanti, con annunci della prossima pubblicazione di documenti mai pubblicati, inviti a votare per le scorse elezioni, e così via.

Rispetto ai capitoli precedenti, vorrei chiudere il cerchio: non basta che abbiate qualcuno che vi gestisca uno o più canali, dovete anche avere un "format" per ciascun canale (il tipo di comunicazione che volete avere), ovviamente definito con il referente di canale (che magari poi coinvolgerà altri), ed una roadmap per la comunicazione (ovvero: quando comunicare), prima ancora che un piano di comunicazione (gli specifici eventi).

Di più: ha senso anche predisporre materiale legato a specifici eventi, ma senza esagerare (meglio avere un collaboratore che invia i Tweet su specifiche "battute", che tenersi una scaletta scritta sul podio, visibile alle telecamere e a... chiunque segua la conferenza in streaming via Internet).

Ritorno al discorso dei "dossier per argomento", che qui diventa "linee guida per cosa dire su alcuni argomenti", assumendo poi che il referente di canale, ed i collaboratori associati, scrivano qualcosa di coerente (certo che se prendete psicopatici a scrivere i vostri Tweet, non sorprendetevi poi se iniziano ad insultare chiunque non sia d'accordo con voi).

So che potrà sembrare molto "costruita": ma, francamente, diverse campagne elettorali in Italia negli ultimi anni che sembravano così "spontanee", "social", erano, per chi partecipato ad attività promozionali nel settore privato da qualche decennio, palesemente costruite a tavolino (p.es. l'inviare una risposta personale ad ogni messaggio, o mandare un grazie a fine campagna a tutti quelli che hanno mandato like ecc).

Soprattutto quando fallivano la "prova del nove": ciò che gli eletti facevano dopo la vittoria elettorale.

5.5.3 Gestire la motivazione

Non si tratta di motivare solo chi si occupa per voi del canale, ma di continuare a motivare anche dopo che le attività sono state avviate, e continuare a rinforzare i messaggi, anche perché il corretto utilizzo di ciascun canale implica saper gestire i tempi della comunicazione- e delegare le azioni di dettaglio (salvo eccezioni) a chi del canale si occupa.

Ovvero (e chiedo scusa sia agli idraulici che agli esperti di social media): se io chiamo l'idraulico per occuparsi del lavandino, mi aspetto che, concordato il lavoro, lui lo faccia- non mi metto a dirgli "e perché usa quella chiave? Non è meglio quella?"- al massimo, verifico che non si crei ulteriore lavoro per il futuro...

In effetti, spesso è consigliabile considerare il referente di canale non come un semplice esecutore con delega, ma anche come un consulente sulla comunicazione tramite quel canale.

Attenzione alle "estensioni" di canale: alcuni si auto-nominano consulenti per la comunicazione tout-court, con risultati non sempre brillanti quando si avventurano in territori sconosciuti, p.es. se ignorano la gestione della logistica di eventi organizzati sul territorio, avendo solo esperienza nell'organizzazione di eventi online.

Che si tratti di un politico o di una associazione, sui social media ogni tanto è necessario "metterci la faccia", ovvero intervenire in prima persona.

Se questi interventi sono fatti coordinandosi con chi si occupa del canale, è più facile che siano, appunto, coordinati- altrimenti, il rischio è che il "comunicatore interventista" distrugga, sull'onda del momento, la stessa continuità della comunicazione che era stata definita su ogni canale.

Troppo calcolato? Credete davvero che solo perché si dichiara spontaneo chi è arrivato all'apice in un ambiente in cui la dietrologia impera, sia davvero così sprovveduto?

Sono famose le storie dei politici americani che tenevano traccia di tutti i favori fatti e delle comunicazioni inviate, come pure non sono poche le applicazioni software (anche gratuite, OpenSource) che consentono di comunicare con l'elettorato o i sostenitori di una causa- ma "ricordando" cosa sia stato comunicato prima, e tenendo traccia di eventuali reazioni ("CRM politico").

5.5.4 Garantire la coerenza della comunicazione

Tornando alla tabella sopra riportata, probabilmente avrete notato che nella sezione precedente ho in effetti parlato di motivazione: ma per ciascuno dei tre (individui, gruppi) partecipanti.

Ovviamente, la motivazione va gestita da chi ha il maggior interesse, vale a dire chi crea (e fa evolvere) la strategia complessiva di comunicazione, per poter eventualmente "rettificare il tiro".

Talvolta, chi viene coinvolto nel definire la strategia di comunicazione non è la persona più indicata per poi occuparsi della sua evoluzione, e men che meno dei piccoli "aggiustamenti" resi necessari dall'incontro di una linea guida con la realtà.

Un po' come dire che il coordinatore di un evento (online o meno) o una campagna non è necessariamente la persona più indicata per diventare il responsabile del coordinamento del vostro staff una volta eletti (o una volta raggiunto l'obiettivo di stabilire p.es. un nuovo club, servizio, o authority).

Non basta comunicare- bisogna anche utilizzare ogni momento di comunicazione per rinforzare o stimolare il senso di appartenenza.

Con buona pace di chi si scandalizza che la comunicazione politica sia svolta seguendo le stesse logiche che si utilizzano per vendere saponette, forse qualche lezione dalle esperienze pregresse in altri settori si può riutilizzare.

Per esempio: continuo a non capire i politici che si affidano a "call center" che lavorano a progetto per diffondere il proprio messaggio.

Va bene avere un messaggio di riferimento, ma trasferendo a chi non è coinvolto o interessato nell'azione politica il contatto con i potenziali elettori, i messaggi e le impressioni di chi viene contattato vengono fusi in un pastone statistico che non serve quasi a niente (chi si occupa di sondaggi, sa che la struttura delle domande di per sé può pilotare i risultati).

Nel settore privato come nel settore pubblico, preferirei che il contatto di primo livello con l'audience fosse sempre effettuato da chi "crede" e condivide i vostri valori: se non è abbastanza motivante, trasformatelo in un ruolo "a rotazione" (un po' si motiva in piazza o negli eventi, un po' si risponde al telefono), ma non esternalizzatelo: perderete l'80% del valore.

5.5.5 Ultimo ma non meno importante

I canali non sono fissi ed immutabili, sia che si tratti di club o eventi estemporanei sul territorio, sia che si tratti di canali online.

Di conseguenza, anche la vostra selezione deve esser continuamente verificata, possibilmente per gestire una "riduzione graduale" su un canale non più di interesse, piuttosto che il caotico "saltafossi" che spesso si osserva, che ricorda più l'estinzione improvvisa dei dinosauri che una gestione della comunicazione.

Quando scegliete un canale, non importa quanto i vostri referenti su ciascun canale siano brillanti ed efficaci: preparatevi alla possibilità che altri intervengano- magari anche riciclando le vostre scelte (di solito, il punto di arrivo, non il faticoso percorso di tentativi ed errori).

Chi crede di esser troppo brillante per esser imitato e superato è forse meglio che si legga un paio di libri di storia dell'economia e dell'industrializzazione...

Talvolta, può esser utile o addirittura necessario "cedere del territorio" (uno o più canali, o cambiare le modalità di presenza sugli stessi) per poter focalizzare la propria attenzione.

In alcuni casi, diventa ulteriormente utile, poiché portate a dialogare su argomenti di vostra scelta (il "vostro territorio"), invece di continuare a reagire alle iniziative di altri.

Non è forse quello che si faceva prima di Internet, p.es. cambiando il mix di canali pubblicitari negli ultimi giorni della campagna elettorale?

Meglio prevedere anche una verifica a priori di quali siano i vostri punti di forza e debolezza (e seguirli nel tempo- non solo "SWOT", ma "SWOT dinamico") su ciascun canale, e quelle che si chiamano "fall-back positions", ovvero le alternative da attuare se qualcosa va storto.


5.6. Conclusioni (per ora)

Se siete passati direttamente a questa pagina dopo le sezioni introduttive pensando di avere una "scorciatoia", mi spiace ma questo non è il libro adatto.

Forse avrete notato la mancanza di almeno un paio di elementi "standard" in qualunque libro: l'indice analitico e l'indice dei nomi- ma è una scelta che ho seguito in tutti i libri precedenti, dato che il mio orientamento è la condivisione di esperienza e idee da sviluppare ulteriormente, oltre che osservazioni, e non scrivere "guide operative di consultazione".

Un capitolo che spesso manca nei miei libri è quello sulle conclusioni.

In questo libro, potrebbe aver senso riassumere quanto discusso nella novantina di pagine precedenti?

Sarebbe un'inutile ripetizione- e spero che i titoli di ciascuna sezione, riportati nell'indice iniziale, siano utili a scegliere quale sezione leggere.

In realtà, anche volendolo fare, questo libro non può avere una conclusione tradizionale: non esistono punti fermi, ma ipotesi ed idee.

Vi saranno in futuro altri libri, probabilmente solo in inglese, a meno che il numero di copie vendute in italiano non sia abbastanza elevato da giustificare continuare a scrivere una "variante italiana"; se l'audience resterà solo online e gratis, meglio proseguire in inglese: il pubblico è più vasto!

Diversamente dagli articoli online da cui è partito, questo libro contiene molti riferimenti alla realtà politica italiana contemporanea.

Visto che siamo ad un nuovo punto di passaggio, dopo quello tra la Prima e la Seconda Repubblica, è facile che diverse delle digressioni su partiti e politici possano diventare mere curiosità storiche nello spazio di pochi anni, se non mesi.

Resteranno comunque validi gli elementi base sulla comunicazione, come, purtroppo, alcune cattive abitudini dei cittadini-elettori: ma sarei il primo a felicitarmi online, con un nuovo articolo in italiano pubblicato su DirittoDiVoto.Com nella sezione strumenti, qualora vi fossero, infine, cambiamenti in grado di render l'Italia un paese più "normale".

Continuerò in ogni caso a pubblicare articoli nella stessa sezione, ma prevalentemente in inglese (o in versione bilingue), dato che saranno diretti a condividere alcune idee e strumenti operativi, come pure alcune analisi sull'evoluzione politica in Italia e nell'Unione Europea.

Sia la politica che i social network condividono un elemento di fondo: non possono esser statici, ed il loro utilizzo influenza la loro natura.

Mentre la prima, nella sua accezione più formale, ha cercato di cristallizzare modi e forme del XIX secolo anche nella transizione al XXI, utilizzando nuovi strumenti (dalla radio, alla televisione, ad Internet) prevalentemente in supporto a vecchie logiche, i secondi hanno progressivamente svolto un ruolo "virale", alterando il DNA della politica.

E' ancora relativamente presto per vedere se il "diritto di accesso ad Internet" sarà convertito in "diritto alla conoscenza" e considerato estensione del "diritto di parola", ma il primo passo sarà un bilanciamento dei diversi interessi in quella che oggi viene più o meno impropriamente "net neutrality" (che è tecnicamente possibile solo se il costo marginale di ogni unità di dati aggiuntiva trasmessa è prossimo allo zero- altrimenti, è diverso inviare un messaggio email o guardare un film).

L'idea base è che non conta cosa faccio con Internet, non devono esservi barriere sociali ed economiche all'accesso, barriere che creino "cittadini della rete" ("Netizens") di serie A e di serie B.

E' più questione di volontà politica che di budget: avremo politici lungimiranti e grati della possibilità di conquistarsi il consenso, invece di raccoglierlo tramite alchimie.