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You are here: Home > Diritto di Voto / EU, Italy, Turin > Il paese dei leader

Viewed 16773 times | words: 3104
Published on 2017-01-23 | Updated on 2019-12-01 15:44:10 | words: 3104



[NOTE: this post was published in January 2017. As of 2019-08-21, more than 5500 people read it, and therefore decided to issue a new version, in English, published in late August 2019, available at: this address, but extending up to... Vichy in WWII.

The new version includes a 3000+ words preamble discussing current trends in Italy on the same issue, leadership, before an updated version of the Italian post herein enclosed.]

Come chiunque viva in Italia si rende presto conto, qui non mancano le leggi- abbondano.

Il problema è discernere tra quelle applicate, quelle applicabili, e quelle "a corrente alternata", secondo il famoso detto "con gli amici la legge si interpreta, con gli altri si applica".

Come facciamo a discernere?

Semplice- altrove, si semplificano e riducono le leggi, da noi si creano centri di potere e si lascia che si bilancino tra di loro.

Che poi i risultati non siano brillanti, in fondo, è cosa che si vede sul lungo termine.

E, sul lungo termine (che in politica non è necessariamente così lungo), si finisce tutti nello stesso posto: "'a livella".

Spesso, poi, per i politici, almeno sinora, "nello stesso posto" non era quello indicato nella poesia- ma una comoda "sinecura" che al peggio garantiva ufficio e personale a spese pubbliche, oltre ad un rimborso spese- per continuare a restare in politica senza restarci formalmente.

Comunque, dato che siam testardi, non è da oggi (e nemmeno dal 1922) che ci incaponiamo e consideriamo che il mezzo migliore sia quello di dotarci di guide più o meno illuminate, più o meno "uomo universale".

Negli ultimi decenni francamente anche le donne in politica che finalmente hanno avuto spazio spesso han dimostrato di non esser da meno degli uomini- anche nel malcostume politico, magari trasformando in valletti la scorta invece di fare come un certo politico che requisiva i locali "in" per portarci i suoi amici.

D'altro canto, basta leggere i resoconti dello "scandalo della Banca Romana" della fine del XIX secolo per vedere che già allora anche le donne come i loro mariti politici non avevan problemi ad utilizzare come "ufficio cassa" le casse altrui- ed anche utilizzare la forza lavoro in modo improprio è, per me, una forma di corruzione (sì, Gregorio Magno :D)

Si sa, ubi maior minor cessat- e cosa volete che sia una ricevuta di cassa in più o in meno...

Tornando al creare i centri di potere: è un po' come il tentativo di Google di creare un social network basato sui "cerchi di attrazione"- ogni centro di potere è dotato di "massa", e deforma lo spazio in cui si trova, attraendo nella propria "orbita" non solo "oggetti" sciolti, ma anche altri punti di attrazione di minor peso.

Spostandoci dalle stelle alla Terra, la differenza è che, mentre per cambiare quegli equilibri ci vogliono miliardi di anni, da noi, soprattutto in Italia, è solo questione di quella che in altre occasioni è stata definita "coalition of the willing" https://en.wikipedia.org/wiki/Coalition_of_the_willing: un'unione di intenti (lasciam stare l'"entente cordiale" negli archivi della storia https://en.wikipedia.org/wiki/Entente_Cordiale- Pietro e Paolo si metton d'accordo per derubare Giovanni, per parafrasare un noto proverbio inglese :D) per raggiungere obiettivi comuni.

Che poi gli obiettivi siano sempre dichiarati epocali, e si rivelino al massimo della durata di un ciclo elettorale, è un dettaglio.

Anche su questo noi italiani abbiam un record: provate a guardare quanti governi, dal luglio 1943, sono stati nei fatti "silurati" da chi in teoria era dentro o vicino alla coalizione.

Restiamo alle dichiarazioni di principio ed alle "coalizioni di chi ne ha voglia" (preferisco questa traduzione a quella usuale, è più espressiva- scusate, momento stile film "Lord of War" quando Nicholas Cage sottolinea "si dice Warlord").

Ammettiamo quindi che da noi l'equilibrio è sempre apparentemente instabile (era Kissinger che nelle sue memorie scrisse che Italia e Giappone, al di là delle apparenze, erano gli alleati più stabili: sempre gli stessi al governo- ma si riferiva al periodo in cui i governi erano tutti più o meno democristiani).

Alcuni, anche recentemente, si son lamentati dei "voltagabbana" che, nel nuovo corso in cui in teoria abbiamo avuto un'alternanza a tre (PD-Centrodestra-M5S), son passati armi e bagagli al vincitore: ma, francamente, è una lunga tradizione- come avremmo fatto altrimenti a sopravvivere alle continue invasioni dal V secolo?

Diciamo che, da quando mi trovai a che fare più volte a settimana con chi bazzicava le segreterie dei partiti dell'Arco Costituzionale, era palese che nulla vi fosse di più permanente del cambiamento (o che niente fosse più mutevole delle dichiarazioni scolpite nella pietra).

Beh, adesso si potrebbe dire che l'arco è stato spezzettato in un gioco stile Shangai (dizione italiana di Shanghai) https://it.wikipedia.org/wiki/Shangai_(gioco), ma allora comunque l'elemento di coesione era che comunque le regole del gioco eran condivise.

Anche allora avevamo leader o presunti leader, ma la vicinanza della Seconda Guerra Mondiale "sfumava"- quanti adesso dopo un episodio come l'attentato a Togliatti avrebbero fatto come fece lui (e non sono mai stato comunista)?

Da noi, i "leader" odierni gettan benzina sul fuoco, invocano i forconi a Palazzo Chigi, citano Piazzale Loreto, ed altre amenità.

Personalmente, resto dell'idea che ho imparato nelle mie attività politiche di allora: il nostro obiettivo era chiaro, condividere le nostre idee e supportare la carriera di chi le condivideva, e questo abitua all'idea che, in un sistema complesso, spesso "leadership" vuol dire creare le condizioni perché vi sia il successo e poi sia sostenibile, invece che cercare di far sempre quello che guida la carica.

Ed abitua a pensare che il cambiamento sostenibile richieda soprattutto cogliere le "finestre di opportunità" quando si presentano, e ragionare comunque sul lungo termine- cogliere una micro-opportunità oggi e distruggere la credibilità futura è una visione quantomeno distorta.

Anche perché quello che un cliente a Bruxelles chiamò "shadow project management" è spesso utile per fare leva sulle capacità di proiezione di capacità, risorse, potere di chi accetta di farsene (magari temporaneo) portatore- se raggiungi l'obiettivo usando le risorse di altri, perché no?

Non è da confondersi con "fare il kingmaker", che funziona solo se continua a rinforzare le ragioni della collaborazione, altrimenti prima o poi il nuovo "king" ovviamente cercherà altre fonti di ispirazione con minore "memoria storica".

Ovviamente, vi è chi preferisce star sempre in seconda linea- e passa di re in re a far da "consigliori": più semplice viver di luce riflessa delle vittorie in cui si può dire "c'ero anch'io", che condividere anche la responsabilità delle scelte sbagliate.

Comunque, dopo quelle attività politiche, applicai lo stesso approccio anche nelle vendite (sempre al liceo), durante il servizio di leva (se sei alla "selezione"/"profiling" dei nuovi arrivati come furiere, hai un "potere di influenza di indirizzo" per la riassegnazione incarichi- soprattutto se non hai gradi che possono essere usati come leva negativa o elemento di baratto), e poi in attività lavorative dove a poco più di vent'anni mi ritrovai a correre per star dietro a dirigenti con il doppio o più dei miei anni ai quali dovevo dare consulenza per implementare modelli di controllo di gestione, reporting, e simili.

Si impara molto, ma devi dare molto: ogni viaggio per un nuovo cliente spesso significava comprarmi libri per esser in grado di capire di cosa mi avrebbero parlato- esser l'esperto di qualcosa non ti aiuta se non capisci come puoi usare la tua competenza per soddisfare le esigenze di chi ti sta di fronte: devi studiare la loro "forma mentis", non proiettare la tua.

Passando da ruoli "da esperto" a ruoli "da catalizzatore", cambia il profilo- la credibilità è sempre legata più a quello che si riesce a far fare ad altri che a quello che si fa.

A titolo di esempio, da quadro e quasi financial controller nel 1992 (non firmai all'ultimo minuto per un cambiamento significativo nelle regole di ingaggio), mi venne offerta una posizione di "guida" per la gestione del cambiamento culturale ed organizzativo di un'azienda piuttosto complessa che attraversava una fase di innovazione tecnologica significativa, e stava crescendo troppo rapidamente.

L'offerta? Il Direttore Generale mi chiese se ero disponibile ad accettare la scommessa di cambiare il modo di pensare dell'azienda (e delle sue persone).

Devo dire che era divertente uno degli elementi delle "regole d'ingaggio": a qualunque resistenza al cambiamento avrei dovuto rispondere che se avevano lamentele, dovevano chiedere a lui.

Chiunque si occupi di cambiamento sa che il mandato è spesso più importante del titolo o dell'autorità formale: ed il mandato deve esser pubblico (partecipai d'intesa con la Direzione anche all'organizzazione di riunioni/eventi interni e quasi "roadshow" tramite progetti pilota per mostrare il valore dell'investimento).

L'operazione riuscì abbastanza bene; tanto che, dopo non molto tempo, mi disse che avevo convertito l'azienda in una setta di "lofariti", da quello che dicevano i suoi dirigenti in riunione.

Ma lo disse scherzando- perché continuai poi, dopo una breve pausa alcuni anni dopo, a lavorare per loro nello stesso ambito ed altri ambiti relativi all'innovazione, per molti anni.

Il segreto? Come nell'attività politica durante il liceo, l'obiettivo era chiaro- e spesso le attività in cui dovevo esser da "traino" erano meno visibili (p.es. creazione di metodi e strutture di supporto) di quelle in cui dovevo esser un "follower"/consulente del leader assegnato su ciascuna attività.

Elemento interessante che ha copertura in molta ricerca accademica relativamente recente, quello dei "follower": un leader può anche esser follower- dipende dal contesto, dalla specifica situazione, e, ovviamente, dal bilanciamento delle forze.

Se A possiede visibilità e credibilità, ottieni più risultati se aiuti A ad ottenere risultati positivi facendo leva sulla credibilità di cui dispone; inoltre, crei un "Halo effect" https://en.wikipedia.org/wiki/Halo_effect che può coinvolgere coloro che seguono A, creando un effetto "leva" che accresce sia la motivazione sia il valore generate (ovvero: se un manager interno viene motivato a cambiare e si tira dietro i suoi, ha impatto maggiore di quanto non si ottenga se un consulente guida una nuova attività e fa vedere come possa produrre risultati positivi).

Se l'obiettivo organizzativo è rafforzare la credibilità di A, normale che chi in altri ambiti sia la "guida", su specifiche iniziative diventi il "seguace", riservando eventuali attività di "coaching" a sessioni ad hoc ed in separata sede (tipico di tale approccio è il "briefing" prima di un'attività, seguito dal "debriefing" dopo la stessa, per consentire il miglioramento continuo): anche uno "shadow project manager" non deve passar il proprio tempo a proiettare l'ombra...

Purtroppo, troppi consulenti politici (e consulenti direzionali tout court, nel settore privato) dimenticano il proprio ruolo.

Guardate soltanto alcuni bislacchi consigli politici dati durante le ultime elezioni politiche da "megaconsulenti" che eran troppo presi dal proprio ruolo di "agente di trasformazione" e "creativi" per pensare che stavano forzando scelte poco credibili ai candidati per cui lavoravano.

Talvolta, la confusione è tra "leadership" ed "autorità": la seconda possono anche assegnartela, la prima ti deve esser riconosciuta- e non necessariamente la ottieni solo con successi.

Nel "Paese dei Leader", il rischio è spesso che chi si autonomina leader, e per mancanza di alternativa si trova proiettato in quel ruolo, abbia poi paura di fare quello che invece, almeno nella mia esperienza, è normale: ho perso il conto di quante volte mi è capitato di dire in riunione negli ultimi decenni "vorrei vedere se ho capito bene" o scrivere "forse non ho compreso correttamente".

Certo, talvolta era un artifizio retorico per scoprire le carte delle controparti che eccedevano in braggadocio o avevano presentato argomenti inconsistenti (no, non gioco a poker- ma quando mi spiegarono il gioco provai alcune partite, di nuovo per entrare nella "forma mentis").

Ma spesso era la pura e semplice verità: se sono un "esperto" di un certo argomento, se non so dico che devo verificare- non improvviso.

Quando non ero un esperto ma chi in teoria avrebbe dovuto guidar le fila, chi mi stava intorno mi aspettavo che mi preparasse per evitar sorprese sulle attività in cui collaborava con me- ed a nuove domande è normale dire "non lo so" o condividere solo quanto già conosciuto- diffido di chi ha sempre risposte chiuse su qualunque argomento.

In passato mi capitò di aver team (storicamente su progetti, programmi, iniziative, negoziati ero sempre "part-time", su più attività, delegando a team o project o program manager) abituati a "nascondere i problemi sotto il tappeto" (in consulenza, mi abituai a cercare i segnali che indicavano p.es. straordinari non documentati, dato che implicavano che il budget delle attività non era coerente o con gli skill, o con le attività).

Il mio punto di vista è che chi "guida" si deve aspettare da chi "opera" che evidenzi eventuali problemi quando necessario per evitare che diventino visibili solo quando diventano situazioni di crisi: al posto del ministro Fornero, un "siluro" come quello degli "esodati" si sarebbe trasformato in una serie di messe in aspettativa di dirigenti (come per un cliente una delle mie prime attività fu la rimozione di alcuni e rimodulazione di altri).

Ovvero: non credo (come ho scritto spesso) nei leader soli al comando, e non ho trovato dall'inizio anni Ottanta ad oggi un solo caso in cui funzionasse, non importa quanto piccola o grande fosse la struttura- è solo apparenza.

E mi è capitato tra il 1990 ed il 2007 di esser spesso chiamato a recuperare situazioni in cui qualcuno aveva avuto la brillante idea di mostrare "leadership" prendendo lucciole per lanterne ed andando avanti pur di non dire di essersi sbagliato, trasferendo i costi a terzi (il debito pubblico dello Stato è il tipico esempio di "leadership" lucciole per lanterne).

Come nella canzone di Elton John "Sorry is the hardest word" (mi piaceva la versione che, con senso dell'autoironia, un famoso cantante inglese registrò nel CD di celebrazione di EJ raccontando di esser stato quello di aver rifiutato il "tape" di demo dicendo che non valeva niente :D).

Interessante la dichiarazione di Grillo nell'intervista (smentita- ma è una vecchia prassi italiana anche questa) ad un giornale francese: ma se il nuovo del XXI secolo è sull'onda del "celodurismo" di Umberto Bossi, siam messi male- si passa "dall'uno vale uno" all'"infallibilità del leader" (http://www.lastampa.it/2017/01/23/italia/politica/grillo-e-gli-idoli-putintrump-servono-uomini-forti-come-loro-sVa8zhGucbPqXcZCX6DDzO/pagina.html)

Al di là delle parole, è da vedere poi come si declinerà nei fatti- al momento, M5S continua a rischiare di aver più sedie da occupare, nello stile "proviamo pure questi", di quanti dirigenti politici "organici" a M5S riesca a produrre.

Ma certamente M5S ha una marcia in più nella gestione delle espulsioni- che poi (http://piattaformacostituzione.camera.it/) la magistratura abbia riconosciuto come accettabile la "penale" per i candidati per Roma, ed uno dei "leader" non abbia trovato niente di meglio di dire di applicarlo anche ai deputati, segno che forse anche la formazione iniziale ai neo-deputati probabilmente è stata fatta mentre avevan la testa altrove...

Recita l'articolo 67: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato"

Mostrare "leadership" a suon di sanzioni preventive mantenute come spada di Damocle è un po' come dirsi manager lungimirante e far firmare lettere di dimissioni in bianco all'assunzione.

Il rischio è che un leader apparentemente forte sia come "L'uomo di marmo" del film (o Stakanov): una finzione (http://www.activitaly.it/immaginicinema/wajda/wajda.htm).

Nel "paese dei leader", l'unico modo di mantenere l'illusione della leadership diventa così un continuo stillicidio di diktat che difficilmente rimane sostenibile a lungo (ogni nuovo diktat o accresce la "penale" ad un livello considerato penalizzante, o semplicemente perde di efficacia, arrivando prima o poi al punto di rottura/implosione politica).

Interessante vedere che evoluzione avranno le tre principali forze politiche, oscillanti tra una "leadership di giornata" (Cinquestelle), "lotte di auto-successione" (PD), e "ricerca del delfino" (centrodestra).

Ovvero: il vuoto che avanza- e, come riportato nell'ennesimo articolo de L'Espresso di questa settimana sulla storia della compagnia di bandiera, la scelta di "capitani coraggiosi" è una tradizione che porta di sedia in sedia, a suon di fuoriuscite milionarie pur in presenza di conti che sono tutto fuorché brillanti esempi di "diligenza del buon padre di famiglia" come, con piglio e retorica ottocentesca, il Codice Civile riporta (p.es. articolo 1130- non è lo Stato come un condominio? http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-terzo/titolo-vii/capo-ii/art1130.html :D)

Forse, una caratteristica più interessante di un leader è la capacità di generare quello che in inglese si chiama "resilience" https://en.wikipedia.org/wiki/Resilience- che è meglio guardare in tutti i significati presenti su Wikipedia, che nella tradizionale "capacità di adeguarsi al cambiamento"; e spesso, almeno in diversi casi che ho visto (parlo di altri), i leader che avevano avuto il maggior impatto si notavano per come comunque la struttura continuasse ad operare in modo coerente anche in loro assenza.